giovedì 29 marzo 2012

AI FISICI PIACE IN GRUPPO


È noto dai tempi dei Babilonesi e, didatticamente, dalle prime classi delle scuole superiori, che esiste una semplice formula algebrica che ci consente di determinare le soluzioni di qualsivoglia equazione di 2° grado:
e precisamente:
Formule algebriche, che consentono il calcolo delle soluzioni di qualsiasi equazione di 3° e 4° grado, furono "escogitate" nel XVI secolo da alcuni matematici italiani, quali Niccolò Fontana, detto Tartaglia, Gerolamo Cardano e Ludovico Ferrari. I matematici, invogliati dalle formulazioni algebriche dei loro colleghi o costretti dai frequenti mal di testa delle rispettive mogli, tentarono invano di proseguire il cammino intrapreso finché, alla fine del Settecento e agli inizi dell'Ottocento, Paolo Ruffini e Niels Abel non decretarono la completa inammissibilità di soluzioni algebriche per equazioni dal 5° grado in su.
Pochi anni dopo questa scoperta, il giovane, poco più che ragazzo, matematico francese Evaristo Galois, morto in duello a soli 21 anni per difendere l'onore di una donna, risolse questo annoso problema introducendo il concetto di gruppo di permutazioni delle soluzioni, dove per permutazione degli elementi di un insieme s'intende la semplice modalità di ridisposizione. Galois scoprì che i gruppi alterni, formati dalle permutazioni ottenute con un numero pari di scambi, che contengono più di 4 elementi sono semplici, cioè "fattorizzabili" solo con se stessi e con il gruppo unitario (costituito di un unico elemento). Da qui l'impossibilità di trovare formule algebriche per risolvere equazioni di grado superiore al 4°.
Ma la teoria dei gruppi, una volta avviata, non si fermò più e non interessò solo la matematica pura. A metà dell'Ottocento Augusto Bravais, studiando i cristalli dei minerali, introdusse il concetto di gruppo di simmetria, in cui particolari trasformazioni geometriche, come le rotazioni nel piano o nello spazio, lasciano invariati poligoni e poliedri regolari. Gruppi di simmetria particolarmente interessanti sono quelli inerenti alle infinite rotazioni del cerchio e della sfera, gruppi continui come quelli di Lie, che andremo ora ad esaminare.
Prima di procedere ecco un breve excursus sul concetto di gruppo.
Un gruppo è un insieme non vuoto G di elementi generici fra i quali è definita un'operazione binaria * tale che:
a) G è chiuso rispetto all'operazione *, cioè se x, y sono elementi di G, anche z = x * y è un elemento di G;
b) l'operazione * è associativa, ossia se x, y, z sono elementi di G, si ha: x * (y * z) = (x * y) * z;
c) in G esiste un elemento unità (neutro) e tale che, se x appartiene a G, si abbia: x * e = e * x = x;
d) ogni elemento x di G ammette in G un inverso x' per cui risulti: x * x' = x' * x = e.
Ritornando ai gruppi continui di trasformazioni, essi furono classificati, per la prima volta nel 1874, dal matematico norvegese Marius Sophus Lie. Li possiamo definire come quei gruppi continui di trasformazioni, che ammettono un sistema di coordinate locali rispetto al quale le operazioni interessate sono analitiche.
Benché un gruppo di Lie coinvolga operazioni analitiche, essendo continuo quindi infinito, è sempre possibile delinearne gli elementi costitutivi specificando un numero finito di parametri, peculiarità detta dimensione del gruppo. Il gruppo delle rotazioni del cerchio, isomorfo al gruppo delle matrici unitarie U(1), ha dimensione 1, perché basta specificare solo l'angolo di rotazione. Invece il gruppo delle rotazioni della sfera, isomorfo alle matrici speciali ortogonali SO(3), ha dimensione 3, perché bisogna specificare sia la longitudine, sia la latitudine che l'angolo di rotazione.
In effetti la classificazione di tutti i gruppi semplici di Lie portò alla definizione di 4 famiglie infinite, formate tutte da gruppi i cui elementi sono matrici quadrate a N righe ed N colonne, distinguibili in base alle proprietà di queste ultime e degli spazi in cui "lavorano". Inoltre ci sono 5 gruppi, cosiddetti sporadici, che non rientrano in alcuna delle 4 famiglie, chiamati G2, D4, E6, E7 ed E8, aventi dimensione, rispettivamente. 14, 52, 78, 133 e 248.
La teoria dei gruppi di Lie è oggi il linguaggio che permette di esprimere le teorie unificate di campo della fisica delle particelle e svelare tutta la loro bellezza. I fisici teorici hanno scoperto che le forze elettromagnetica, nucleare debole e nucleare forte rispettano particolari simmetrie di rotazione di fase dei campi, necessarie per definire gli operatori di campo, detti anche operatori di creazione ed annichilazione, di scambio di carica delle particelle e di scambio di cariche di "colore" nei quark, e che le proprietà di queste simmetrie sono descritti dai gruppi di Lie U(1) per il campo elettromagnetico (QED o elettrodinamica quantistica), SU(2) per il campo nucleare debole ed SU(3) per quello forte (QCD o cromodinamica quantistica). Le rispettive dimensioni di questi gruppi sono 1, 3 e 8, corrispondenti al numero di bosoni (particelle messaggere) che trasmettono queste forze: un fotone, 3 bosoni deboli (W+, W- e Z0) e 8 gluoni.
Il primo tentativo di descrizione matematica di queste simmetrie fu compiuto dal fisico cinese Chen Ning Yang e dal fisico americano Robert Mills nel 1954, i quali adoperarono il gruppo SU(2) per la descrizione di alcune simmetrie delle interazioni forti, anziché deboli, come più tardi si sarebbe appurato, riassunta nelle celeberrime, per i fisici teorici, equazioni di Yang-Mills.
Il secondo tentativo fu effettuato dal fisico americano Murray Gell-Mann, all'inizio degli anni sessanta, che utilizzò il gruppo SU(3) per la determinazione delle simmetrie di sapore, anziché delle cariche di "colore", dei quark e che gli valse il premio Nobel per la fisica nel 1969.
L'identificazione, alla fine degli anni sessanta, di SU(2) x U(1) come gruppo caratteristico della teoria elettrodebole da parte dei fisici americani Sheldon Glashow, Steven Weinberg e del fisico pakistano Abdus Salam fruttò loro il premio Nobel per la fisica nel 1979 e spianò la strada ai tentativi di unificazione delle forze in natura tramite teorie quantistiche dei campi che utilizzassero appropriati gruppi di Lie. Voglio specificare che SU(3) fu riclassificato, all'inizio degli anni settanta dallo stesso Weinberg e dai fisici americani Frank Wilczek e David Gross, come il gruppo caratteristico della cromodinamica quantistica, conosciuta con l'acronimo QCD, quindi come gruppo di simmetria per trasformazioni che coinvolgevano lo scambio di cariche di "colore" tra gluoni e quark.
In quegli anni si respirava un'aria di crescente fiducia nella possibilità di usare i principi dei gruppi di simmetria per sviluppare teorie sempre più ardite. La dimestichezza di Gell-Mann con la teoria dei gruppi di Lie lo condusse a prevedere l'esistenza delle cariche frazionarie dei quark, sebbene tutte le particelle note fino ad allora possedessero carica intera. Quando, qualche anno dopo, gli acceleratori iniziarono a fornire le prime prove evidenti dell'esistenza di queste ipotetiche particelle, il trionfo di questa teoria in fisica quantistica si palesò a tutti.
Finalmente i tasselli del gigantesco puzzle, che risponde al nome di fisica delle particelle elementari, cominciavano ad incastrarsi bene e tuttavia i fisici continuavano ad avvertire un sospeso disagio intellettivo, tormentati dall'evidenza osservativa che l'universo fosse pieno di "assenza" di simmetria, ad iniziare dalla differenza di massa tra particelle appartenenti alla stessa famiglia: i fotoni, bosoni di massa nulla, vettori dell'interazione elettromagnetica, ed il tripletto dei "pesantissimi" bosoni intermedi W+, W- e Z0, messaggeri dell'interazione debole.
Per queste particelle, previste dalla teoria unificata elettrodebole, SU(2) x U(1), di Glashow-Salam-Weinberg, la differenza di massa venne attribuita ad una rottura spontanea della simmetria, avvenuta durante il processo di raffreddamento dell'universo primordiale, così come accade con i magneti elementari delle sostanze ferromagnetiche che, al di sotto di una temperatura critica, si allineano in coppie che, gradualmente, si compattano in piccoli domini magnetici.
Alle altissime temperature iniziali, subito dopo il Big Bang, le particelle erano essenzialmente identiche e le interazioni deboli ed elettromagnetiche si manifestavano in un'unica forza, trionfalmente verificata nel 1983 dal fisico italiano Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica l'anno successivo. Il meccanismo di rottura della simmetria però comportava l'esistenza del cosiddetto bosone di Higgs, demiurgo della comparsa di particelle massive, in accordo con l'evidenza sperimentale. Sappiamo tutti che questa questione è all'ordine del giorno nelle comunità dei fisici che lavorano presso i più potenti acceleratori di particelle.
Il progresso verso l'unificazione finale delle forze in natura transita dunque attraverso la determinazione di un appropriato gruppo di Lie che contenga il prodotto SU(3) x SU(2) x U(1),  teoria divenuta nota come Modello Standard. Il minimo gruppo semplice di Lie, che soddisfi matematicamente al requisito, è il gruppo SU(5), a 24 dimensioni, ma non sembra appropriato fisicamente, perché apre questioni di non semplice soluzione: la grande unificazione (GUT) basata su di esso prevede infatti fenomeni dubbi quali un decadimento troppo veloce del protone e l’esistenza di monopoli magnetici.       
Il gruppo di Lie su cui oggi si punta per una teoria unificatrice, che comprenda anche la gravità, mette in gioco il massimo gruppo sporadico E8 combinato con se stesso: E8 x E8 e, avendo dimensione doppia di 248, prevede l'esistenza di 496 bosoni di campo, di cui sono noti soltanto i 12 già citati.
Una teoria unificata di tutte le forze richiede certamente idee nuove e ardimentose. Un'eccitante possibilità sembra derivare da un'insolita simmetria, denominata SUSY, da SUperSYmmetry (supersimmetria), che trasforma i bosoni, i mediatori delle forze in gioco, a spin intero, nei fermioni, quali leptoni e quark, di spin semi-intero, costituenti fondamentali della materia e viceversa. Cercando di unificare particelle con peculiarità così diverse, questa simmetria, oltre ad ipotizzare l'esistenza di partner supersimmetrici da ambo le parti, fa intravedere anche la possibilità di integrare la gravitazione con le altre forze esaminate.
Infine le più recenti ricerche nel campo della fisica teorica prospettano la sostituzione delle particelle elementari, come oggetti fondamentali, con entità unidimensionali chiamate "stringhe", che "agiscono" in spazi pluridimensionali, un quadro che farebbe entrare, se fosse vero, in una teoria di campo quantistica anche la gravità.     

lunedì 26 marzo 2012

STRUTTURE FONDAMENTALI

TEORIA
 
Il modello quantistico dell’energia dei sistemi materiali con cui Planck ha interpretato lo spettro di emissione del corpo nero, il modello quantistico dell’energia della radiazione elettromagnetica con cui Einstein ha interpretato l’effetto fotoelettrico, il modello atomico a energie definite e costanti con cui Bohr ha descritto la struttura dell’atomo e interpretato gli spettri di emissione delle sostanze, hanno portato alla conclusione che la radiazione elettromagnetica presenta anche aspetti corpuscolari. Le onde elementari, costituenti la radiazione elettromagnetica, sono, cioè, trattabili come proiettili di radiazione (quanti o fotoni); proiettili d’impulso pari al rapporto tra la loro energia e la velocità della radiazione nel vuoto, p = E/c. La loro energia è misurata dal prodotto della frequenza della radiazione per la costante di Planck, E = hν, la quale misura, numericamente, la minima quantità d’energia fisicamente esistente; ogni altra quantità potendo essere solo multipla intera di essa.
In particolare, a proposito degli spettri atomici, quando un elettrone, eccitato ad un livello elettronico di energia maggiore di quella che gli compete naturalmente, ritorna al suo stato originario, emette una radiazione elettromagnetica di frequenza proporzionale al salto energetico subito. Ad emissioni continue degli atomi costituenti i corpi si deve attribuire l’esistenza dei cosiddetti spettri di emissione. Viceversa, quando una radiazione penetra in una sostanza, può suscitare quelle stesse eccitazioni energetiche che l’hanno prodotta. Ne risulta un suo parziale o totale assorbimento, in conseguenza del quale la radiazione, analizzata dopo il suo passaggio nel materiale assorbente, può mancare di alcune sue componenti; gli spettri così ottenuti sono detti spettri di assorbimento.
L’idea che la radiazione ammetta un comportamento corpuscolare è stata capovolta da de Broglie, il quale affermò che le particelle, costituenti la materia ordinaria, dovevano avere un comportamento ondulatorio, λ = h/p = h/mv.
Il tentativo di localizzare le particelle subatomiche comporta, inevitabilmente, per la struttura stessa della realtà, un’indeterminazione della loro quantità di moto. Heisenberg intuì per primo questa realtà e ne diede una sintetica formulazione, dimostrando che il prodotto dell’incertezza con la quale può essere determinata la quantità di moto di una particella per l’incertezza con la quale può essere determinata la sua posizione, non può essere minore di una quantità costante, avente l’ordine di grandezza del quanto elementare di Planck, Δp∙Δx ≥ h.
Il difetto di massa delle reazioni nucleari e i processi d’annichilazione tra particelle e corrispondenti antiparticelle confermano la relazione di Einstein, secondo la quale a un’energia E è associabile una massa m pari a E/c2.
A conclusione di tutto quanto osservato, si può asserire che l’ente materia-energia si manifesta in modo duplice, essendo talvolta descrivibile come onda e talvolta come particella.  

PROBLEMI
 
Problema n. 1
La radiazione solare investe la Terra in ragione di 2 cal/(cm2min). Supponendo che la lunghezza d'onda media della radiazione solare sia λ = 5400 Å, calcolare il numero di fotoni equivalenti a tale energia.
Soluzione
Energia di un fotone:
E = hf = hc/λ = 3.68·10-19 J;
ora è:
Nf = Q/E = 2.27·1019 fotoni.

Problema n. 2
Sapendo che l'energia necessaria a far uscire un elettrone dal sodio è ENa = 2.3 eV, dire quale debba essere la massima lunghezza d'onda della radiazione capace di produrre emissione fotoelettrica nel sodio.
Soluzione
ENa ≤ hc/λ,
quindi:
λ ≤ hc/ENa = 5400 Å.

Problema n. 3
Un elettrone passa da un livello energetico nel quale la sua energia è E1 = 0.85 eV ad un altro nel quale la sua energia vale E2 = 10.2 eV. Determinare la lunghezza d'onda della radiazione emessa.
Soluzione
ΔE = E2 - E1 = hc/λ,
quindi:
λ = hc/(E2 - E1) = 1328 Å.

Problema n. 4
Calcolare la lunghezza d'onda di un protone da E = 10 Mev.
Soluzione
Quantità di moto di un protone:
p = mpv,
quindi:
E = ½mpv2 = p2/2mp;
lunghezza d'onda di de Broglie:
λ = h/mpv = h/p;
perciò da:
p = (2mpE)1/2,
si ottiene:
λ = h/p = h/(2mpE)1/2 = 9.056·10-15 m.

Problema n. 5
Dire quale dovrebbe essere la superficie della "vela" di un'astronave per vincere la forza gravitazionale del sole ad una distanza d = 1011 m, supponendo che la massa dell'astronave sia m = 103 kg e che la radiazione solare invii sulla superficie della vela 2 cal al minuto per ogni cm2, in condizioni d'incidenza normale.
Soluzione
Legge di gravitazione universale:
F = GmMS/d2 = 12.677 N;
impulso trasferito sull'unità di superficie della vela al secondo:
p = E/c = 4.64·10-6 Ns/m2,
quindi, in definitiva, la superficie della vela dovrebbe essere:
S = F/p = 2.732·106 m2.

Problema n. 6
Calcolare la frequenza emessa dall'annichilimento di una coppia elettrone-positrone.
Soluzione
Equivalenza massa-energia di Einstein:
E = 2mec2;
si ha anche:
E = hf = hc/λ,
quindi:
f = 2mec2/h = 2.473·1020 Hz
e
λ = h/p = h/2mec = 1.213·10-12 m.

domenica 25 marzo 2012

PRODUZIONE DI RADIAZIONI ELETTROMAGNETICHE

TEORIA
 
Un circuito oscillante è un sistema essenzialmente costituito da una capacità e da un’induttanza nel quale, per effetto delle correnti di carica e scarica del condensatore e delle correnti indotte nel solenoide, si ha un periodico trasferimento dell’energia elettrica in energia magnetica e viceversa. Quando nel circuito la resistenza è nulla, il periodo di questo fenomeno è proporzionale alla radice quadrata del prodotto del valore della capacità per quello del coefficiente di autoinduzione del solenoide, T = 2π√(LC). Nel caso in cui la resistenza del circuito sia diversa da zero, l’intensità della corrente circolante va decrescendo fino ad annullarsi.
In particolari condizioni, un circuito oscillante aperto genera energia elettromagnetica che, allontanandosi dal centro generatore, si propaga nello spazio con le tipiche modalità di un’onda (onde elettromagnetiche). La velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica è, nel vuoto, uguale per ogni radiazione e pari a c = 3 ∙ 108 m/s.
Non solo i circuiti oscillanti sono in grado di provocare nello spazio radiazioni elettromagnetiche, ma lo è altresì qualunque sistema di cariche in moto accelerato. La molteplicità dei fenomeni, in cui si hanno cariche in moto accelerato, fa prevedere l’esistenza di una vasta gamma di radiazioni elettromagnetiche, diversificate fra loro soltanto dalla rispettiva frequenza.
La radiazione elettromagnetica si riflette, si rifrange, si diffrange, interferisce e produce effetti di polarizzazione come una qualsiasi onda trasversale.

LEGGI DELL'INDUZIONE E AUTOINDUZIONE

TEORIA
 
Quando un circuito elettrico o un tratto di esso o, comunque, una qualunque porzione di conduttore, si muovono in un campo d’induzione magnetica, si induce in essi una forza elettromotrice responsabile, a circuito aperto, di una d.d.p. ai capi del conduttore e, a circuito chiuso, di una circolazione di corrente nel circuito stesso. L’indagine microscopica del fenomeno mostra che, responsabile di tale f.e.m. è la forza che opera sugli elettroni di conduzione dei conduttori in movimento immersi nel campo d’induzione magnetica.
La corrente indotta, eventualmente circolante, produce effetti meccanici e magnetici che si oppongono alla causa che l’ha prodotta, legge di Lenz. L’energia spesa per produrre una qualunque corrente indotta in un circuito chiuso è eguagliata dall’energia che la corrente stessa dissipa, per effetto Joule, nel circuito.
Quando si verifica una variazione del flusso del vettore induzione magnetica, concatenato ad un circuito, si induce nel circuito stesso una f.e.m. che produce una corrente elettrica la cui intensità è direttamente proporzionale, ma opposta in segno, all’entità di tale variazione, espressa dalla legge di Faraday-Neumann.
Quando in un circuito circola corrente, questa genera attorno a sé un campo d’induzione magnetica. Il flusso di tale campo, concatenato al circuito, è proporzionale alla corrente che percorre il circuito stesso. Il coefficiente di proporzionalità di tale relazione è chiamato coefficiente di autoinduzione.
Ogni variazione dell’intensità della corrente elettrica nei circuiti, dovuta, ad esempio, a processi d’apertura e di chiusura del circuito, causa una variazione del flusso d’induzione magnetica concatenato al circuito e, quindi, provoca, nel contempo, una corrente indotta che, per la legge di Lenz, ritarda il raggiungimento delle condizioni di regime.
Ad ogni campo d’induzione magnetica si deve pensare associata una quantità d’energia magnetica corrispondente alla potenzialità del campo di compiere lavoro di natura elettrica, producendo correnti indotte durante il proprio annullamento. La densità d’energia magnetica è direttamente proporzionale al quadrato dell’intensità del campo magnetico, formalmente espressa da: densità energia magnetica = ½µH2.
Sfruttando la variazione del verso della corrente che si genera, in una spira rotante, in un campo d’induzione magnetica, è possibile realizzare apparecchiature i cui poli sono sedi di correnti alternativamente entranti ed uscenti, le cosiddette correnti alternate. Tramite opportuni collettori è possibile realizzare macchine che, sfruttando il principio della produzione di corrente in una spira rotante immersa in un campo d’induzione magnetica, generano corrente alternata (alternatori) e continua (dinamo).
Una particolare disposizione di due circuiti elettrici, magneticamente concatenati, permette di realizzare amplificazioni o riduzioni delle tensioni delle linee conduttrici d’energia elettrica (trasformatori).

PROBLEMI
 
Problema n. 1
Una sbarretta conduttrice, di lunghezza l = 10 cm, cade, mantenendosi parallela a se stessa, in un campo d'induzione magnetica, perpendicolare alla direzione del suo movimento, d'intensità B = 0.1 Wb/m2. Scrivere la legge con la quale varia la fem ai suoi estremi ed il suo valore dopo h = 20 cm di caduta.
Soluzione
Forza di Lorentz:
F = evB,
allora gli elettroni nella sbarretta risentono del campo elettrico:
E = F/e = vB,
quindi la fem indotta vale:
fem = V= El = Blv,
ma:
v = gt,
perciò:
fem = V(t) = Blgt,
la fem indotta è una funzione lineare del tempo;
ora è:
h = ½gt2,
cioè:
v = (2gh)1/2 = 1.98 m/s,
in definitiva:
fem = Blv = 1.98·10-2 V.

Problema n. 2
Un telaio rettangolare, di lati l1 = l3 = 30 cm, l2 = l4 = 100 cm e di densità lineare λ = 0.106 kg/m, cade verticalmente in un campo d'induzione magnetica uniforme, perpendicolare al suo piano di giacitura, d'intensità B = 1 Wb/m2. Il telaio inizialmente è fermo e, dopo t = 3 s, il suo lato l3 giunge al limite estremo del campo. Determinare il valore della fem indotta che si genera entro il telaio nei diversi momenti della sua caduta e l'intensità della corrente indotta, essendo la sua resistenza totale pari a R = 0.98 Ω. Stabilire inoltre di che tipo è il moto con cui il telaio procede fino alla sua totale uscita dal campo d'induzione magnetica. Valutare, infine, con il teorema di conservazione dell'energia, l'energia dissipata per effetto Joule.
Soluzione
Quando il telaio è completamente immerso nel campo d'induzione magnetica, le forze agenti sulle cariche (elettroni) s'equilibrano e la fem è nulla; dopo t = 3 s, il lato l3 esce dal campo, quindi si genera una fem indotta:
fem = Bl1v = Bl1gt = 8.82 V,
essa produce un flusso di corrente indotta pari a:
i = V/R = Bl1gt/R = 9 A;
il circuito, essendo percorso dalla corrente indotta, si troverà soggetto a 4 forze:
1) forza peso:
P = mg = λ(l1 + l2 + l3 + l4)g = 2.7 N;
2) forze sui lati 2 e 4 uguali ed opposte:
F2 = F4 = il2B = l1l2B2gt/R = B2Sgt/R = 9 N;
3) forza sul lato 1, detta reazione magnetica:
F1 = il1B = B2l12gt/R = 2.7 N,
cioè:
P = F1,
quindi a t = 3 s, v diventa costante e vale:
v = gt = 29.4 m/s;
dopo t = l2/v secondi, il telaio uscirà completamente dal campo e l'energia dissipata per effetto Joule sarà:
Q = i2Rt = (Bl1gt/R)2Rl2/gt = B2Sl1gt/R = 2.7 J;
si ottiene lo stesso risultato applicando il teorema di conservazione dell'energia:
Q = i2Rt = mgh = mgl2 = 2.7 J.

Problema n. 3
Una spira quadrata, di lato l = 10 cm, costituita da un filo di resistenza complessiva R = 0.01 Ω, viene portata in una regione di spazio nella quale il campo d'induzione magnetica, costante, vale B = 0.5 Wb/m2. Rispetto alla direzione del campo, la perpendicolare della spira forma un angolo θ = 45°. Determinare la carica totale ΔQ che percorre la spira in conseguenza del suo movimento.
Soluzione
Legge di Faraday-Neumann:
i = (1/R)ΔΦ(B)/Δt = (1/R)BScosθ/Δt = (√2/2R)Bl2/Δt,
quindi:
ΔQ = iΔt = (√2/2R)Bl2 = 0.35 C.

Problema n. 4
Una spira circolare, costituita da N = 10.5 spire di raggio r = 10 cm, realizzate con un filo di diametro d = 0.2 mm e fatto con materiale di resistività ρ = 1.5·10-8 Ωm, è disposta, perpendicolarmente, in un campo d'induzione magnetica, variabile nel tempo, secondo la legge B = kt + B0, con k = 0.1 Wb/m2s e B0 = 1 Wb/m2. Determinare il valore dell'intensità di corrente che circola nella spira.
Soluzione
Seconda legge di Ohm:
R = ρl/S;
ora è:
l = N·2πr = 2Nπr,
S = πd2/4,
quindi:
R = ρl/S = 8Nρr/d2 = 3.15 Ω;
legge di Faraday-Neumann:
i = (1/R)dΦ(B)/dt = (S/R)d(kt+B0)/dt = kS/R = kπr2/R = 10-3 A.

Problema n. 5
Un solenoide, costituito da N = 5000 spire di raggio r = 5 cm, è immerso in un campo d'induzione magnetica, variabile nel tempo, secondo la legge B(t) = kt, con k = 0.1 Wb/m2s. L'asse del solenoide è disposto parallelamente alla direzione del campo. Calcolare la fem indotta che si genera nel solenoide.
Soluzione
Legge di Faraday-Neumann in un solenoide:
fem = dΦ(B)/dt = NSdB(t)/dt = Nπr2d(kt)/dt = kNπr2 = 3.93 V.

Problema n. 6
Una bobina, formata da N = 100 spire di raggio r = 10 cm, è immersa in un campo d'induzione magnetica uniforme d'intensità B = 4·10-3 Wb/m2. Inizialmente il campo d'induzione magnetica è perpendicolare ad uno dei diametri della bobina e parallelo al piano della stessa. Se si ruota di 90° la bobina, attorno a questo diametro, in un tempo Δt = 0.5 s, determinare quale sarà la fem media indotta nella spira.
Soluzione
Legge di Faraday-Neumann in una bobina:
fem = ΔΦ(B)/Δt = NSB/Δt = Nπr2B/Δt = 2.51·10-2 V.

Problema n. 7
Una sbarretta metallica, di lunghezza l = 3.3 cm, scivola su una guida pure metallica, foggiata ad U, in un campo uniforme d'induzione magnetica B = 10 Wb/m2. Ad un certo istante la velocità della sbarretta è v = 30 cm/s e la resistenza del circuito è R = 10-2 Ω. Calcolare la fem generata dal moto della sbarra e la potenza dissipata in esso per effetto Joule.
Soluzione
Legge di Faraday-Neumann:
fem = ΔΦ(B)/Δt = BΔS(t)/Δt,
ma:
ΔS = lh = lvΔt,
sostituendo si ha:
fem = ΔΦ(B)/Δt = BΔS/Δt, = Blv = 0.1 V;
Potenza dissipata per effetto Joule:
W = i2R = V2/R = 1 watt.

Problema n. 8
Una sbarra conduttrice, di lunghezza l = 0.5 m, ruota, con una frequenza f = 10 Hz, in un campo d'induzione magnetica uniforme B = 1 Wb/m2. L'asse di rotazione passa per un suo estremo ed ha la direzione delle linee di forza del campo. Determinare la ddp registrabile agli estremi della sbarra.
Soluzione
Legge di Faraday-Neumann:
V = dΦ(B)/dt = BdS(t)/dt,
ma:
dS(t) = ½lds = ½l·ldθ,
sostituendo si ottiene:
V = dΦ(B)/dt = BdS(t)/dt = ½Bl2dθ/dt = ½Bl2ω,
ed ancora:
ω = 2πf,
quindi:
V = πBl2f = 7.854 V.

Problema n. 9
Calcolare il coefficiente di autoinduzione di un solenoide, di lunghezza l = 50 cm e raggio r = 1 cm, costituito da N = 1000 spire, immerso nel vuoto.
Soluzione
Campo d'induzione magnetica all'interno del solenoide:
B0 = μ0ni = μ0(N/l)i;
flusso concatenato con una spira:
Φ1(B) = B0S = μ0π(N/l)r2i,
quindi quello concatenato con N spire:
ΦN(B) = NΦ1(B) = μ0πN2r2i/l,
ma è anche:
ΦN(B) = Li,
in definitiva il coefficiente di autoinduzione di un solenoide vale:
L = ΦN(B)/i = μ0πN2r2/l = 7.9·10-4 H