sabato 24 marzo 2012

GENERATORI DI FORZA ELETTROMOTRICE


TEORIA
 
Un generatore elettrostatico è un congegno in grado di mantenere separate cariche positive e negative, in modo che queste possano generare alte d.d.p. con una quantità di carica relativamente modesta.
La diversa densità degli elettroni di conduzione in un metallo è responsabile delle piccole differenze di potenziale che si generano nelle zone di contatto tra due metalli diversi (effetto Peltier). Poiché, per una medesima coppia bimetallica, le d.d.p. di contatto dipendono dalla temperatura del contatto stesso, mantenendo i punti d’unione di un anello bimetallico a temperature diverse, è possibile realizzare un generatore di corrente elettrica continua (effetto Seebeck).
Agli estremi di un conduttore costituito da due sbarre metalliche di diversa natura, a contatto tra loro, si manifesta una d.d.p. di valore pari alla differenza dei potenziali d’estrazione relativi a ciascun metallo (effetto Volta). Quando più metalli, di natura diversa, vengono collegati in serie, la d.d.p. che si manifesta fra gli estremi della catena aperta è pari a quella che si avrebbe qualora fossero a diretto contatto il primo e l’ultimo componente della catena.
L’energia associata alla radiazione ottica permette di eccitare gli elettroni di un semiconduttore nella sua banda di conduzione. Tale fenomeno può essere sfruttato per realizzare generatori di corrente continua (celle fotovoltaiche).
Quando due elementi semiconduttori, contenenti impurezze di tipo diverso (n e p), vengono posti uno accanto all’altro, si genera, nella zona di contatto, uno squilibrio di cariche che produce una differenza di potenziale tra i due elementi.
Fra tutti gli elementi chimici è possibile stabilire una scala che esprime la loro tendenza a ridursi, ovvero ad assumere elettroni. Tale scala viene detta scala dei potenziali di riduzione. La tendenza al processo di riduzione delle varie specie chimiche viene riferita a quella dello ione idrogeno, assunta come zero ed espressa in volt.
La diversa tendenza delle sostanze a ridursi o, viceversa, a ossidarsi, viene sfruttata nelle pile chimiche. In esse, l’attitudine a reagire delle specie chimiche, che le costituiscono (energia chimica), viene utilizzata per far circolare cariche elettriche, per generare cioè energia elettrica.
I processi secondari che avvengono agli elettrodi di una pila chimica possono produrre un’alterazione della natura chimica degli elettrodi stessi, cui consegue un abbassamento della f.e.m. della pila (polarizzazione della pila). Per ovviare a questo inconveniente sono state costruite pile opportune: alcune utilizzano elettrodi e soluzioni particolari come la nota pila Daniell.
I fenomeni d’elettrolisi, che avvengono in voltametri o in celle elettrolitiche, sono controllati pure dalla serie dei potenziali di riduzione, ossia dalla propensione delle diverse specie chimiche a ridursi. Associati ai processi d’elettrolisi possono verificarsi reazioni secondarie di varia natura, che generano vere e proprie pile di f.e.m. opposta a quella applicata agli elettrodi.
L’elettrolisi è, quantitativamente, controllata dalle tre leggi seguenti (leggi di Faraday):
1. la massa di sostanza, che si deposita agli elettrodi di un voltametro nel quale passa corrente, è proporzionale al numero di cariche, cioè alla quantità di carica, fluente attraverso la soluzione;
2. quando in voltametri diversi fluisce una medesima quantità di carica elettrica, ai loro rispettivi elettrodi si deposita un egual numero di equivalenti chimici, ove per equivalente chimico di una sostanza s’intende il rapporto tra il suo peso atomico e la sua valenza;
3. per depositare un grammoequivalente di qualunque sostanza sono necessari 96500 coulomb (costante di Faraday) di carica elettrica.   

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