TEORIA
Un generatore elettrostatico è un congegno in grado di
mantenere separate cariche positive e negative, in modo che queste possano
generare alte d.d.p. con una quantità di carica relativamente modesta.
La diversa densità degli elettroni di conduzione in un
metallo è responsabile delle piccole differenze di potenziale che si generano
nelle zone di contatto tra due metalli diversi (effetto Peltier). Poiché, per
una medesima coppia bimetallica, le d.d.p. di contatto dipendono dalla
temperatura del contatto stesso, mantenendo i punti d’unione di un anello
bimetallico a temperature diverse, è possibile realizzare un generatore di
corrente elettrica continua (effetto Seebeck).
Agli estremi di un conduttore costituito da due sbarre
metalliche di diversa natura, a contatto tra loro, si manifesta una d.d.p. di
valore pari alla differenza dei potenziali d’estrazione relativi a ciascun
metallo (effetto Volta). Quando più metalli, di natura diversa, vengono
collegati in serie, la d.d.p. che si manifesta fra gli estremi della catena
aperta è pari a quella che si avrebbe qualora fossero a diretto contatto il
primo e l’ultimo componente della catena.
L’energia associata alla radiazione ottica permette di
eccitare gli elettroni di un semiconduttore nella sua banda di conduzione. Tale
fenomeno può essere sfruttato per realizzare generatori di corrente continua
(celle fotovoltaiche).
Quando due elementi semiconduttori, contenenti impurezze
di tipo diverso (n e p), vengono posti uno accanto all’altro, si genera, nella
zona di contatto, uno squilibrio di cariche che produce una differenza di
potenziale tra i due elementi.
Fra tutti gli elementi chimici è possibile stabilire una
scala che esprime la loro tendenza a ridursi, ovvero ad assumere elettroni.
Tale scala viene detta scala dei potenziali di riduzione. La tendenza al
processo di riduzione delle varie specie chimiche viene riferita a quella dello
ione idrogeno, assunta come zero ed espressa in volt.
La diversa tendenza delle sostanze a ridursi o,
viceversa, a ossidarsi, viene sfruttata nelle pile chimiche. In esse,
l’attitudine a reagire delle specie chimiche, che le costituiscono (energia
chimica), viene utilizzata per far circolare cariche elettriche, per generare
cioè energia elettrica.
I processi secondari che avvengono agli elettrodi di una
pila chimica possono produrre un’alterazione della natura chimica degli
elettrodi stessi, cui consegue un abbassamento della f.e.m. della pila
(polarizzazione della pila). Per ovviare a questo inconveniente sono state
costruite pile opportune: alcune utilizzano elettrodi e soluzioni particolari
come la nota pila Daniell.
I fenomeni d’elettrolisi, che avvengono in voltametri o
in celle elettrolitiche, sono controllati pure dalla serie dei potenziali di
riduzione, ossia dalla propensione delle diverse specie chimiche a ridursi.
Associati ai processi d’elettrolisi possono verificarsi reazioni secondarie di
varia natura, che generano vere e proprie pile di f.e.m. opposta a quella
applicata agli elettrodi.
L’elettrolisi è, quantitativamente, controllata dalle
tre leggi seguenti (leggi di Faraday):
1. la massa di sostanza, che si deposita agli elettrodi
di un voltametro nel quale passa corrente, è proporzionale al numero di
cariche, cioè alla quantità di carica, fluente attraverso la soluzione;
2. quando in voltametri diversi fluisce una medesima
quantità di carica elettrica, ai loro rispettivi elettrodi si deposita un egual
numero di equivalenti chimici, ove per equivalente chimico di una sostanza
s’intende il rapporto tra il suo peso atomico e la sua valenza;
3. per depositare un grammoequivalente di qualunque
sostanza sono necessari 96500 coulomb (costante di Faraday) di carica
elettrica.
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